Cara Milano oggi ti vorrei abbracciare.
Ti ho osservata, in questi giorni, dall’alto del mio balcone al tredicesimo piano.
Le strade così vuote e silenziose come in agosto, ma con qualche grado in meno.
Come in agosto, ma diversa.
Dietro le finestre illuminate, infatti, si nascondono le voci dei tuoi abitanti, il brusio delle televisioni, l’odore delle teglie appena sfornate, il rumore dei bimbi che di questa quarantena non ne vogliono più sapere.
Non proprio agosto, dunque.
Ho osservato i tuoi momenti di euforia primaverile alternarsi a momenti di panico e follia, ho visto i parchi affollarsi per poi svuotarsi il giorno dopo, ho pianto con te la mattina leggendo i bollettini, ho gridato a gran voce i versi di Mameli insieme ai vicini. Ho visto le tue stazioni riempirsi di chi ha preferito scappare, ho visto la tua gente restare.
È come se fossi tornata indietro di dieci anni, a quando il mio cerchio si limitava a chi in questo luogo ci è nato e cresciuto, il quartiere e poco più. E per un momento è stato bello stringersi forte a chi c’è sempre stato e chi ti ha sempre vissuto in tutte le tue sfumature, chi sa davvero di che pasta sei fatta e ti ha scelto e ti sceglie ogni giorno. Per un attimo sei stata nostra e di nessun altro.
Non succedeva da tempo.
La nostra Milano, il nostro piccolo tesoro, sempre così aperta, sempre così accogliente, a un tratto si è sentita abbandonata. Non ne ha fatto una colpa a nessuno, non avrebbe avuto senso. La ferita, però, quella l’ha sentita. E se per un momento è stato persino bello, presto è diventato doloroso.
Cara Milano, non sei abituata al silenzio, lo so bene. La tua vitalità è la tua linfa, le persone il tuo pane. La tua essenza si trova nella gente che la mattina affolla i vagoni della metropolitana, negli operai che ci svegliano a suon di martellate, nei giovani che affollano i navigli, nei bimbi che riempiono i parchi, negli studenti provenienti da ogni dove che importano usanze e nuovi intercalari. La tua natura sta nel guardare sempre avanti, dritta all’obiettivo. Il tuo bello sta nella molteplicità.
Eppure ora sei vuota e avanti non ci puoi guardare.
Eppure ora sei spenta e chissà quando ti riaccenderai.
Ti dirò la verità, non vedevo un cielo così limpido da tempo, il duomo non era così nitido da anni. La luna non è mai stata così bella.
Noi in silenzio in coda davanti al supermercato ci guardiamo un po’ persi.
Tornerai, lo so, a brillare di nuovo.
Tornerai ad aprire le braccia, seppur ferita, porgendo come sempre l’altra guancia.
Tornerai a insegnarci che il bello esiste dove meno lo vedi.
Tornerai da chi viene da te con la presunzione di chi si sente migliore, gli dirai che no, non ce n’è motivo, perché qui nessuno è migliore di qualcuno.
Tornerai a infondere speranza è opportunità.
Tornerai a brindare con noi alle luci del tramonto, tornerai a dirci che nessuno ci obbliga ad essere tristi.
Tornerai, lo so.
Nel frattempo noi ti aspettiamo sui balconi.
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